Alberto e Marcus, 43 anni, due amici dai tempi dell’università, quando di anni ne avevano 20-22 e frequentavano la facoltà di ingegneria aerospaziale al Politecnico di Milano. Alberto che di cognome fa Garagiola viene da Magenta, mentre Marcus è di Lugano. Hanno una passione in comune: la bicicletta. Insieme fanno giri su giri in mtb sulle colline del comasco. E poi condividono la stessa fissa per la meccanica. Girano in bici e dopo si divertono a sistemarle, le mtb e le prime due ruote da corsa. “Ci piaceva smontarle e sistemarle alla perfezione, mettevamo in pratica, in modo semplice, perché il meccanismo di una bici è più semplice di quello di un aereo, quello che studiavamo sui libri”.
Dopo la laurea Alberto viene assunto a Malpensa per riparare i motori dei jet, mentre Marcus si mette a lavorare per l’azienda metalmeccanica di famiglia specializzata in stampi. “Ho fatto quella vita per una decina di anni – racconta Alberto – mi piaceva controllare e riparare le parti meccaniche degli aerei, però era una vita d’inferno perché mi chiamavano a tutte le ore. Sei reperibile per un qualsiasi problema come un chirurgo”. Le due, le tre di notte perché le partenze in aeroporto ci sono sempre e gli aerei da controllare pure, prima di ogni volo. Tutti i giorni compreso sabato e domenica. Un lavoro difficile da conciliare con la vita privata. “A un certo punto non ce la facevo più”, racconta il giovane ingegnere magentino decide di lasciare il posto fisso. Intorno a 30 anni, come recitava una canzone di qualche anno fa di Mimmo Locasciulli, c’è il primo cambio di stagione per l’ingegnere: cerca lavoro in un’azienda privata per lavorare di giorno. Dopo poco viene assunto come project manager dalla Sabiana, una grande azienda che si occupa di condizionamento e riscaldamento, dove si studiano e si realizzano grandi impianti e si studiano i flussi d’aria. “Sì, il lavoro andava bene. Sono rimasto lì diversi anni, però non ero contento. Un giorno, mentre pedalavamo, Marcus mi racconta che suo papà da un po’ di tempo, tra le altre cose, aveva cominciato a preparare gli stampi con i quali vengono costruiti i telai in carbonio a Taiwan, dalla Giant”.
Giant è uno dei due grandi Oem con Merida, dove tutti i marchi di bici che noi conosciamo, i più noti americani e italiani, fanno realizzare i loro telai. “Mi si è accesa la lampadina – ricorda Alberto – ma perché non proviamo a progettare un nostro stampo per realizzare una bicicletta in carbonio nostra, come ci piace? Da lì la sfida piano piano ha preso forma. E una passione cominciata sui banchi dell’università si è trasformata in una piccola ma bella realtà imprenditoriale. “Siamo partiti nel 2007 con le prime bici, dopo un anno di gestazione dell’idea”.
Gli investimenti per realizzare una bici in carbonio non sono pochi. Per fare uno stampo, che si può usare N volte, ci vogliono tra i 40 ai 50mila euro. Ogni modello poi ha 4-5 taglie e a ogni misura corrisponde uno stampo diverso. E poi ci sono i costi di certificazione e i test di resistenza. Ogni telaio deve essere sicuro in tutte le sue parti e superare almeno otto prove-test per ottenere il bollino. Un lungo lavoro di progettazione e di sistemazione a ogni test di sforzo, che va ripetuto per ciascuna taglia. Ma la sfida non spaventa i due amici ingegneri. “La prima bici che abbiamo realizzato è stata una bicicletta da corsa. Siamo partiti subito con il carbonio”, racconta Alberto. Grazie al fatto che c’era un rapporto di fornitura consolidata tra l’azienda di famiglia di Marcus, uno dei due soci, e Giant, è stato più facile farsi ricevere e riuscire a programmare la loro piccola produzione. “La fabbrica di Giant è una città – spiega – è più grande della Fiat di Mirafiori. Loro fanno bici per tutti i marchi del mondo, con volumi incredibili. Noi eravamo una piccola start up. Aver avuto l’appoggio di Giant è stato determinante. Difficile entrarci per numeri limitati di produzione perché loro lavorano su migliaia di telai”.
Così nasce la prima bicicletta con il marchio Gara+, mediata dal cognome di Alberto, Garagiola. Dopo di essa seguono altri modelli, ogni anno un pezzetto. Modelli da crono, da pista, altri modelli da strada e mountain bike. “I numeri che facciamo sono piccoli, e tali vogliamo restare, perché puntiamo tutto sulla personalizzazione e poi non voglio tornare a vivere per il lavoro, ma continuare a lavorare per vivere facendo qualcosa che mi piace”. Così, solo con il passaparola le bici Gara+ hanno cominciato a vedersi in giro. “Le nostre bici sono come degli abiti su misura, spiega Alberto. Abbiamo cominciato così, quasi per gioco”. La cosa è piano piano cresciuta fino a diventare un vero e proprio lavoro.
Aprono una sede dove vengono progettate e assemblate le bici Gara+ a Grandate, in provincia di Como. E da un solo modello a catalogo nel 2007, il primo anno, si è passati ai 23 modelli attuali. “Il primo anno abbiamo realizzato 20 bici, oggi ne facciamo circa 300 all’anno e non vogliamo farne troppe di più”.
“Abbiamo tre linee – spiega l’ingegnere ciclista – strada, crono e mtb. Quelle che vanno di più sono le bici da cronometro molto richieste dagli appassionati di triathlon e dagli amatori che fanno crono. Non pensavamo di avere successo, ne abbiamo fatta una per provare e ora il 60% del fatturato lo facciamo con i telai crono per i quali ci sono diversi modelli, anche da pista. Modelli che ogni anno vengono rivisti. Il restante 40% lo facciamo con le bici da strada e le mountain bike, equamente suddivise.
Le bici Gara+ sono totalmente personalizzabili. Non ce n’è una uguale all’altra. La grafica viene curata da Stefano Barzaghi di Como, l’artista artigiano, famoso perché personalizza i caschi di tutti i professionisti con l’aerografo. “I nostri telai sono verniciati come il cliente li vuole, e le decalcomanie non sono adesive come al solito ma i marchi e i loghi verniciati sul telaio. E Stefano, il nostro grafico, è disperato perché ogni bici è un caso a sé”. Ce chi la vuole in oro zecchino e chi la vuole di 10 colori diversi. Di tutte le fogge e tutte le tinte.
La bici Gara+ nasce quindi su misura sia negli allestimenti che nei colori. La produzione è davvero limitata: “Non vogliamo fare più di 300-350 biciclette all’anno, perché ci va bene così e rischiamo di non riuscire a starci più dietro. E a trasformare la nostra attività artigianale, di cura dei particolare e del servizio al cliente, in un’industria. Non vogliamo che diventi così”. E’ il motivo per cui Gara+ non ha ancora un sito internet. “Lo lanceremo tra qualche mese – spiega Alberto – assieme alla vendita online sul modello di come fa Canyon. Ma già così, con il semplice passaparola tra i ciclisti che comprano una nostra bici e si trovano bene e la pagina su Facebook e su Google+ di GaraItalia, non riusciamo a starci dietro”. Per avere una Gara+ infatti ci vogliono minimo dalle 6 alle 8 settimane. “Quando è pronta però è proprio come un vestito sartoriale: è come la vuole il cliente, è la sua bambina e non ce n’è una identica. Noi vorremmo arrivare a essere per le bici un po’ quello che è Pagani per le auto, che ne fanno 100 all’anno e non una di più”. “Puntiamo a fare solo qualità, la quantità non ci interessa perché stravolgerebbe le nostre vite e a noi va bene così”.
Giovani sì quelli di Gara+ ma già con qualche primato sulle spalle. Le bici dell’ingegnere che con i flussi di aria e l’aerodinamica ne sa qualcosa hanno vinto diversi titoli italiani a cronometro e uno su pista: “La progettazione sui telai, con il controllo dei flussi d’aria, la portanza e la resistenza dei tubi, li facciamo tutti noi a Grandate. E’ un lavoro delicato, ma è più semplice rispetto a riparare un motore di un aereo o una macchina di Formula Uno”. Nello studio progettuale nessun particolare viene lasciato al caso, come ad esempio nei telai da crono i freni nascosti all’aria o il carro posteriore dove lo sgancio della ruota è stato disegnato verso l’esterno, nella parte posteriore, e non come tutti gli altri telai, verso il basso. “E’ un dettaglio che aumenta la sicurezza e la precisione una volta che viene montata la ruota”.
Insomma una piccola grande storia di successo e di passione. “Ora sono contento di questo lavoro – conclude Alberto – per me è il lavoro più appagante che ci sia, perché mi piace quello che facciamo”. Una curiosità, a questo punto, è il prezzo, quanto costa una Gara+?
“Noi non abbiamo rivenditori e quindi riusciamo a tagliare i costi. Le nostre bici vanno davvero dal produttore al consumatore. E il prezzo così è di circa il 30-40% inferiore a quello dei grandi marchi industriali perché non commercializzando con i negozianti abbiamo tagliato tutti i costi di distribuzione e di marketing, la comunicazione poi non esiste (mi raccomando non farmi troppa pubblicità sennò vengono in troppi a chiedermi una bici)”.
Per avere una Gara+, una bici dell’ingegnere, bisogna mettersi in lista d’attesa. E avere un po’ di pazienza. Perché lui non transige sulla sua vita privata e sull’altra grande passione che lo muove: il pugilato. Alberto ha fatto per tanti anni agonismo, ha combattuto un centinaio di match fino a quando le sue ginocchia glielo hanno permesso. “La sfida era non di battere gli altri ma se stesso cercando di osare e superare il proprio limite”. Ora è passato dall’altra parte del ring. Ha aperto una sua palestra a Magenta, dove lavorano 6 persone assieme a lui, si è diplomato allenatore federale Fpi nel 2012 e nella sua palestra alla sera, quando lascia da parte il mouse per progettare i telai, o la chiave a brugola per regolarli, si mette ad allenare i ragazzi che si affacciano all’agonismo. Tra i suoi allievi – curiosità – c’e’ Petra, compagna di liceo di mio figlio Simone, giovane campione italiano di nuoto paralimpico – una tipa tosta che è stata selezionata per partecipare ai prossimi europei di pugilato giovanili ed è allenata da Alberto.
“La cosa bella – conclude l’ingegnere – se guardo indietro alla mia storia è che due giochi, due passioni sono diventate i miei lavori. Non so chi abbia la mia fortuna”. Ma le fortune bisogna cercarsele. Come diceva il grande Walt Disney: “Se puoi sognarlo, puoi farlo”.