Il bel racconto ora per ora di una bellissima impresa alla Patrouille des Glacier del mio amico di salite scialpinistiche, di fatica e paradisi alpini Flavio Saltarelli. Buona lettura (rb)
Dopo sette mesi di preparazione, di sveglie e week end nel cuore della notte sognando la Parigi-Dakar dello scialpinismo, la mitica gara svizzera denominata Patrouille des Glaciers, la PDG.
Quando la partenza è dietro l’angolo, tutto sembra remare contro: Giammaria Strinati ha il padre in fin di vita in ospedale, il meteo si preannuncia pessimo ed io non riesco più a dormire. Troppe tensioni, troppe aspettative. Sono fisicamente carico, ma mentalmente esausto. Già due anni fa Alexander Keim ed io riuscimmo ad iscriverci, ma il Covid travolse la leggendaria manifestazione rossocrociata che a cadenza biennale attira squadre da ogni parte del mondo. Troppe serate a ricontrollare il materiale obbligatorio, a studiarsi le barriere orarie e l’alimentazione più adeguata.
E’ mercoledì, lo start è fissato per venerdì notte, alle 3,30, “never give up”, bisogna crederci. E’ l’unica cosa che mi ha insegnato una vita di sport, seppure vissuta in lotta con me stesso, con l’evangelica certezza che gli ultimi spesso sono i primi nella classifica delle emozioni.
Non ci rassegniamo: un giro di telefonate; l’esercito svizzero, che organizza direttamente lo storico evento sin dalle origini, dagli anni Trenta, comprende il dramma di Gianmaria ed ammette la sostituzione. Nella nostra squadra composta da tre atleti denominata “Skimo Adventure” subentra Fabrizio Cappa, professore universitario, per gli amici “Bicio”: un mito dello skialp piacentino, un ragazzino di 59 anni come me, alpinista a 360 gradi, ma alla prima gara di scialpinismo. E debutta in quella che viene definita l’ironman dello skialp, la Patrouille des Glaciers, la storica traversata del Vallese da Zermatt a Verbier, o da Arolla a Verbier, per i cosiddetti popoulaires, gli amatori, come noi. Per i “non professionisti” sono una trentina di km di sviluppo per circa 4700 metri di dislivello complessivo. Il nome della squadra: “Skimo Adventure”, cioè avventura di skimountaineeiring, di scialpinismo, appunto.
Venerdì si parte da Piacenza, carichi di speranze, ma quando la frontiera è ormai in vista, un sms. E’ “targato” Armeé de la Suisse. Lo apriamo con circospezione: siamo su “Scherzi a parte”: rinviata di 24 ore per maltempo. Dietrofront. A casa. In licenza.
I bagagli restano in auto, i timori no. Il giorno dopo, sabato 29 aprile, si riparte per Sion, per le verifiche.
Controllo del materiale, punzonature di tutto il possibile.
Abili arruolati e… subito mandati in prima linea: coricati per terra tra piccozze, corde, zaini e scarponi. Sul nudo pavimento senza materassino, cerchiamo di riposare in un enorme locale della caserma fino alle 23,30. Vestiti da gara, con già spillato sulla tutina della Crazy il numero; rigorosamente sulla coscia destra, come da regolamento. Rimbombano i decibel degli schermi giganti con i video ed i breefing multilingue della gara. Con la crema da sole che imbratta già il viso. Con la bandana tirata sugli occhi per non abbronzarsi con i neon.
Ogni dieci minuti appare sui megaschermi al plasma un trombettiere, suona una sorta di “Silenzio”, poi le raccomandazioni di un comandante dello Stato Maggiore, con voce stentorea; segue il motto della gara: “l’Armée Suisse s’engage pour vous”.
Non ho dubbi.
Alle 24 m’ingozzo d’ansia e frutta disidratata, con un caffè solubile. Alle 24,30 intruppati in pullman verso la partenza. In assetto “da guerra”, con il casco in testa in autobus, non sapendo dove metterlo.
Ore 2. In attesa del via sotto una tensostruttura riscaldata che potrebbe ospitare un concerto degli AC/DC. Nuove verifiche del materiale obbligatorio. Chissà mai che qualcuno sia tentato di alleggerirsi indossando il perizoma.
Alle 3,30 le note di “Conquest of Paradise” di Vangelis scuotono le stelle. Piumino nello zaino, disattivato il “faticometro”. Si parte a tutta. Sgomitando nella mandria per guadagnare qualche posizione temendo dei blocchi. Passando sugli sci di chi non si è ancora svegliato e non ne ha l’intenzione. “A la guerre”.
Il cuore rallenta lasciando la testa sotto il gonfiabile dello start. Full gas a tal punto che al primo controllo (Combe du Pas de Chevres) siamo dodicesimi assoluti tra i popoulaires, gli amatori!
Col de Riedmatten (2918 slm), un couloir dove il collo non ha abbastanza escursione per vedere la cima. Non perdo molto perché la frontale m’illumina solo il buco in cui mettere il piede per il prossimo passo. Un couloir così ripido che quello davanti mi rifila il tacco degli scarponi sul casco. Così ripido che bisogna stare attenti a non prendersi in faccia la punta dei bastoni da sci di chi ti precede.
Tsena Reifen (2951 slm): il miracolo del giorno che prende a pugni la notte sulla ovest del Cervino e della Dent d’Heren. Un rosario di cime tentano di sollevare le palpebre.
Discesa “a manetta” alla luce della frontale, tra rocce pericolosamente addormentate sotto una spanna di farina appena scesa. Alex e Bicio velocissimi tra i marosi. Non posso perderli. Sono una pallina da flipper impazzita nel buio dei ghiacciai del Vallese. I quadricipiti diventano coccodrilli: prima mordono, poi piangono. Un canadese mi centra e mi fa finire al tappeto. Mi raccolgo i pezzi.
L’alba. I raggi del sole lottano con il buio. Colorando i colori dell’infinito.
Penso a Giorgio, mio collega. Se ne è andato a 83 anni pochi mesi fa. La Pdg era un sogno anche per lui, ne parlavamo spesso. Mi aveva promesso che mi avrebbe aspettato a Verbier. L’avrebbe fatto. Vediamo ora di finirla insieme. Di sicuro mi segue anche senza aver scaricato l’app della gara.
Prego. Un po’ per ringraziare, un po’ per chiedere, un po’ per distrarmi. Non so nemmeno io perché.
L’ennesimo traverso sul lago. Si racchetta. Si racchetta. E poi…si racchetta.
I miei propositi di mangiare qualcosa ogni 30 minuti sono andati a farsi benedire. Scoppio sui piattoni sopra al Lago di Dix. Alex mi fa da badante, mi toglie e mi mette le pelli, mi infila in bocca da bere e mangiare.
La bocca impastata di Enervitene, noci e gruviera, con ghiaccio alle maltodestrine, l’unica cosa che esce dalla borraccia.
Rinasco. Dove eravamo rimasti? Pas du Chat, La Barme, Les Ecoulairs.
Riprendo bene, il cuore fa miracoli quando diventa ignorante.
Gradini intagliati nella neve con regolarità e precisione svizzera, la Rosablanche (3191 slm) tra due ali di folla che incitano dal primo all’ultimo.
Capisco allora che alla PDG Paradiso ed Inferno possono coincidere. Go, go, alé Flaviò. Courage, courage. Campanacci, corni e trombe.
Il cardio dice che non sono quasi mai sotto i 160 btm: per fortuna la mia soglia di 155 btm lo ignora. La fatica non esiste quando scolleghi la testa dal cuore.
Alex è un leone in gabbia. Manager di grande successo ed atleta che ha chiuso nella prima parte della classifica tutte le gare più prestigiose di skialp, tra cui la stessa PDG, a questo passo riposa. S’ingolfa, non riesce a scatenare i cavalli del suo motorone. Diventa un fratello che ti aiuta, un padre che ti tira le orecchie, ti stimola, ti spinge. Fa di tutto e di più per me e per Bicio.
Tanti mollano il passo appesantiti dalle ore di gara, li raggiungiamo, li superiamo. Alcuni hanno l’età di mia figlia. Sto bene, la crisi è alle spalle. Le tabelle di allenamento di Andrea Begnis fanno effetto. Ne ho ancora. Capisco che in un modo o nell’altro porterò a casa anche questa. E sarà la più bella.
Nemmeno una nuvola, Mont Blanc du Cheilon, Gran Combin, Velan, Monte Bianco in passarella; non ti curar di loro e passa.
Col de Momin, Lac du Petit Mont-Fort. Sci ancora nello zaino per la terza o la quarta volta.
Col du Chat, un tripudio di pubblico. Come sul Gavia al Giro d’Italia. Fotografi e droni ovunque.
Ultima “spellata”, giù in discesa come non ci fosse un domani.
Verbier appare laggiù in fondo, ma la neve finisce. Via gli sci. A rotta di collo in discesa sulle piste con gli scarponi ai piedi.
Vorrei morire ma non riesco. Mi sforzo in ogni modo. Il cuore non capisce cosa sto facendo, anzi sbatte anche lui a destra e a manca, come gli sci appesi allo zaino. Ci provo fino all’ultima stilla d’energia. Sto correndo a tutta in discesa su asfalto. Le ginocchia rimbalzano come i denti, le vertebre sono una fisarmonica impazzita. Scorciatoia, equilibrismo nel fango. Ancora asfalto. Il paese. Di corsa verso un gonfiabile d’arrivo che non vuole avvicinarsi, lo inseguiamo tra due ali di folla tenendoci per mano tutti e tre. Ed alla fine cede, si fa raggiungere ed arriviamo al traguardo. Il Comandante in divisa mimetica (proprio lui! Quello del video di stanotte.) ci stringe la mano, come a tutti: “Felicitation!”.
Centosettatanovesimi su 413 squadre al traguardo tra i populaires. Partite 1720 equipe.
Videotelefono a Lella. La vedo euforica ma strana, mi ha seguito tramite il gps e la spettacolare app. della gara. Le scende una lacrima. Non è da lei. Ho capito che stavolta è stato qualcosa di diverso.
C’est la PDG.
Flavio Saltarelli