La corona di Ötzi, 80km in ski alp tra Italia e Austria

Un anello di 80 km con gli ski alp tra Italia e Austria. Ecco il bel resoconto di un’avventura in sci alpinismo di un gruppo di amici guidati dall’avvocato con gli sci e le pelli sempre pronti all’uso, Flavio Saltarelli. Buona lettura (rb)

di Flavio Saltarelli

Mi tolgo gli sci, mi sembra strano camminare e non spingere ogni passo come quando si hanno assi e pelli ai piedi. Mi sembra strano non sentire il tintinnio di moschettoni e discensore ad ogni movimento. 80 km di sviluppo, circa seimila metri di dislivello positivo, 27 ore di attività, tre giorni, 13.850 calorie, per quanto mi riguarda. Ghiacciai a perdita d’occhio, pendi da scendere aggrappandosi alle lamine, sperando paghino sempre a prima richiesta; canali da risalire a colpi di piccozza e ramponi, farina su sui disegnare curve nell’effimero, lenzuoli bianchi appesi a 45 gradi dove le curve saltate sono un obbligo, crostaccia immonda in cui tentare di salvare le ginocchia, prati verdi su cui camminare fino al tramonto storditi dalla fatica e dalle emozioni; zaini che cercano, senza riuscirci, di schiacciare i sogni ad ogni passo, “spindrift” – schiaffi di neve e vento – continui per farci capire che è tutto vero. Tre cime tra cui la seconda (Wildspitze, 3770 m.) e la terza d’Austria (gli austriaci considerano la Palla Bianca, Weiskugel in lingua germanica, 3739 m, come loro, pure se si trova sul confine italiano).

La “Corona di Ötzi”, il progetto che abbiamo ideato, un anello glaciale tra Austria ed Italia intorno al cippo ove hanno ritrovato la famosa mummia del Similaun è ora dentro di noi. Un vero e proprio viaggio portato a termine una settimana dopo del previsto, causa pericolo valanghe, da Alex Keim, Fabrizio Cappa, Giammaria Strinati, Andrea Pasquali e da me.

Tracciando il percorso nel bianco più assoluto, passo per passo, coordinata gps per coordinata, abbiamo rincorso il nostro sogno (che sarà raccontato in un docufilm del reporter Andrea Pasquali) da Maso Corto in Val Senales – nell’Otztal – allo Stubai, alla Pitztal, alla Rofental, per ritornate a Maso Corto dopo aver risalito il massiccio del Similaun. Il tutto con tappe da “educazione siberiana” per lunghezza e dislivello (la seconda di circa trenta chilometri e 2.300 di dislivello positivo) causa i diversi rifugi in zona in ristrutturazione che non consentono, ad oggi, di affrontare questa “haute route” in modo diverso e più rilassato, cioè spezzandola in un numero maggiore di tappe. E ciò nonostante il peso degli zaini che devono necessariamente contenere – dato l’ambiente glaciale ed alpinistico – corda, piccozza, ramponi, moschettoni, chiodi da giaccio, discensore, rampant, rinvii, ecc. Proprio per questa ragione abbiamo incontrato sul percorso non più di una decina di persone in tre giorni. Isolamento e wilderness da trasferta extraeuropea, dunque, a pochi chilometri dal confine nazionale, se non per molti tratti proprio sul confine.

La partenza è in Val Senales, a Maso Corto, circa a quota 2000; da lì siamo saliti allo splendido Rifugio Bellavista, con sauna ed idromassaggio direttamente sul ghiacciaio. Questo tratto sarebbe stato percorribile anche con seggiovia, ma abbiamo voluto che l’intero giro fosse “by fair means”, cioè portato a termine con i nostri soli mezzi, risalendo dunque tutto con le pelli di foca, senza alcun altro ausilio. Svalicato in Stubai abbiamo affrontato, ramponi ai piedi e sci nello zaino, la parete est della Palla Bianca (Wisskugel, 3799 m., la cima più alta delle Alpi Venoste) per poi scendere la medesima parete con gli sci (circa 45 gradi di pendenza nel tratto iniziale) per raggiungere uno spettacolare ghiacciaio intenzionato più che mai a mostrarci bocche spalancate e vele di ghiaccio fino al Rifugio Hochjoch Hospitz (2.430 slm) in Stubai, dove abbiamo pernottato.

Il secondo giorno una “cammellata da paura”, sferzati da raffiche di vento anche a 50 km/h continue: circa 2300 metri di dislivello positivo; 12 ore tra salita e discesa, senza alcuna sosta, toccando la panoramicissima vetta Mittlere Guslarspitze (3128 m.), la Wildspitze, 3770 m., seconda montagna d’Austria, per raggiungere infine un paesino tanto minuscolo quanto affascinante, Vent, situato a circa 1900 metri di quota, alle 19 circa, quando il rischio di un errore di percorso poteva, con il serbatoio delle energie ormai in riserva, essere foriero di non pochi problemi.

Pernottato a Vent, il terzo giorno, per chiudere il cerchio, abbiamo puntato le punte degli sci al Similaun, risalendone per oltre 15 chilometri le pendici fino al Giogo di Tisa (3.100 slm), dove Messner e Kammerlander trovarono negli anni Novanta la celebre mummia. Da lì, contornando la Finalspitze – una montagna che sembra una pinna di squalo che fuoriesce dal bianco perenne – una lunga discesa ricamando con gli sci farina intonsa tra i seracchi per ritornare a Maso Corto.

Ancora una volta ci siamo resi conto che gli sci sono sciancrati per seguire i sentieri bianchi del mondo, che non è quadrato; che, prima di essere banalizzati come mero strumento di divertimento di massa, sono stati e restano uno straordinario mezzo per spostarsi da un luogo all’altro, silenziosamente ed anche abbastanza velocemente.

I visi sono segnati dalla fatica, abbrustoliti dal sole, le labbra cotte dagli “spindrift” che ci hanno fatto compagnia per tre giorni, ma sono come sempre gli occhi il termometro delle emozioni: hanno conosciuto i colori dell’infinito ed ora devono essere capaci di ritornare a farne a meno. Saranno capaci di rinunciare ad altri sogni? Perché finché si sogna c’è voglia di sciare.