Mountain Attack: dura, cattiva, bellissima

Il racconto della Mountain Attack 2018 che si è svolta l’altra sera a Saalbach. Scritto dal mio amico di “pellate” Flavio Saltarelli che l’ha fatta. Avrei voluto esserci anche io. Una costola incrinata me lo ha impedito. Prima o poi ci proverò. Gara bellissima e durissima. Buona lettura

I sogni si vivono di notte. E la Mountain Attack parte in Austria, a Saalbach, all’imbrunire. Un sogno che se non sei preparato può facilmente trasformarsi in incubo. E’ la più dura e tecnica gara di skialp su pista al mondo: 3.008 metri di dislivello positivo spalmati su quasi 30 km, tutti da correre con le pelli di foca sugli sci. Con una salita, la prima, di mille metri, in meno di tre km. Una salita che spesso fa svanire i sogni dei partecipanti ancor prima di cominciare. Così ripida che i gatti delle nevi non riescono a batterla; così tecnica che spesso va affrontata sci nello zaino e ramponi agli scarponi. Così “in piedi” che quando guardi in sù, nel buio, pensi di vedere una stella ed invece è la luce del ristoro posto in cima al temuto Schattberg, ad oltre duemila di quota, dove devi arrivare, schivando chi scivola giù a pelle d’’orso. Dove devi arrivare per essere ad un terzo di gara; le forche caudine sono lì. Poi serve solo resistenza e coraggio a lanciarsi a “manetta” in vertiginose discese, nere di giorno, ed ancor più nere di notte. Quando la lampada frontale è avara e ti svela il futuro solo un po’ alla volta.  

Start: go, go! Il gioco si fa duro. Sto correndo sci in mano sulle strade del paese insieme al mio amico Stefano Forcella in una mandria imbufalita di skialper verso l’inizio delle piste. Goffo come un burattino i cui fili tra poco saranno tenuti dagli spiriti dello Schattberg, che forse mi vorranno punire per aver peccato di “ubris”, il peccato di tracotanza di molte tragedie greche: quello dell’uomo che vuole oltrepassare i propri limiti e proprio per questo viene punito severamente dagli dei per la superbia ostentata. Come Icaro con il suo folle volo o Ulisse con Poseidone.

Gli scarponi entrano subito negli attacchi degli sci, battiti a mille e s’inizia a salire. In oltre ottocento, ansimando. Guardo in su: il collo non ha abbastanza escursione per farmi capire dove finisce il muro bianco che mi sovrasta, su cui devo andare. Fino alla fine. Scelgo di seguire un “trenino” di atleti che sta a margine del bosco, a destra, dove la neve sembra più farinosa, dove la pista sembra meno ripida. Tiro dal mazzo un vero e proprio un jolly: scelta azzeccatissima. Lo Schattberg, indispettito, si scrolla di dosso molti concorrenti, ma non noi. Scivolano giù. Come nel gioco dell’oca quando si torna alla casella precedente.

Le braccia fanno a gara con il cuore per vedere chi molla per primo. Per fare tenere le pelli di foca bisogna essere centrali e restare poco sul passo. Scappare via. Ma per riuscirci servono braccia forti, quadricipiti e soprattutto motore. Ci provo, cercando di mettere in pratica i consigli del campionissmo Fabio Meraldi e dei tecnici della rivista Skialper con cui da anni collaboro. Ho scelto di non usare i rampant, per ora, cioè i ramponi da sci. Li ho comunque nello zaino. Me la voglio giocare fino in fondo. A muso duro. Per una volta nella mia vita “o la va, o la spacca”.

Pendenza almeno 45 gradi costanti. Non si riesce a fare ritmo: si perde il passo sulle lastre di ghiaccio; si perde il passo per superare chi sale dritto a piedi, sci nello zaino. Si perde il passo per schivare chi rotola a valle. Una bolgia. Ma tutto va come deve, la dea bendata oggi parteggia per me: sono sù. Dove i miti dello skialp delle origini, Fabio (Meraldi) ed Omar (Oprandi) mi incitano; dove i flash dei fotografi mi abbagliano. Applausi per tutti e pacche sulle spalle.fabio-meraldi-roland-kurtz-e-omar-oprandi

Tolgo le pelli di foca, solo il tempo per dare un’occhiata alla corona imperiale di cime colorata dai colori del tramonto. Un bicchiere di the caldo e giù a tutta. Meno 9 gradi. In tutina. Non ho tempo di aver freddo. Giù a fuoco su sci da 760 grammi cercando di capire dove; su piste nere; raschiate a fine giornata dai turisti che vi hanno sciato di giorno. Nere come la paura di farsi male lasciata in albergo; nere come la notte squarciata dalla luce della lampada frontale che porto sul casco e che mi svela ora lastre di ghiaccio su cui passare leggeri – su cui è proibito frenare – ora dossi di neve fresca riportata, su cui cercare di rallentare. Rimbalzando come una pallina da flipper da un bordo all’altro della pista. Cercando di curvare il meno possibile, non tanto per ragioni di cronometro, quanto per non essere “asfaltato” da chi mi supera sfrecciando al di là del bene e del male. Scendo verso Hintergrad. Un presepe di luci avvolto dal buio di una notte senza luna, ma con un tripudio di stelle e di lampade frontali. Cancello orario da passarsi entro le 18,30 per proseguire. Sono le 18. Sono in time.

Un gel energetico e si ripella. Stefano è più forte, è avanti. Riprendo dunque a salire solo, nella notte, seguendo qualche lucina che mi precede ed inseguito da chi ho dietro; su piste mai viste prima, questa volta meno ripide. Ricomincio a salire per poi scendere. Per risalire e per scendere ancora, full gas; ad ottant’allora; questa ultima volta verso il traguardo. L’arco della Red Bull posto in pieno centro paese, sulle strade innevate per l’occasione.

E’ finita. Non è stato un incubo, non è stata la nemesi della fatica, ma un fantastico viaggio di quasi quattro ore nell’anima più vera della Mountain Attack: splendida e dura come i suoi muri tirati a lucido, ghiacciati anche nel suo ventennale. Un viaggio all’interno di me stesso e delle mie paure, di notte su queste affascinanti cime del Salisburghese dove non ero mai stato. Un viaggio in cui – come nella vita – ogni discesa è preceduta da una salita. Da affrontarsi senza riserve perché, come dice J. Ax, “Non è mai finita finché non lo decidi tu”.flavio

Mountain Attack

Assieme al Sellaronda con cui è gemellata, la Mountain Attack è la più importante gara di scialpinismo su pista al mondo. Si tiene a Saalbach, in Austria, nel Salisburghese, in gennaio. È stata inventata nel 1998 da Roland Kurtz – personalità poliedrica molto nota in Austria per le capacità manageriali – il quale ebbe la forza di proporre una competizione allora inimmaginabile, divenuta oggi una vera e propria classica del genere i cui pettorali disponibili (circa 800) si esauriscono in poche ore dall’apertura delle iscrizioni. Due i percorsi previsti: il Tour con un dislivello complessivo di 4072 metri ed il Marathon, con un dislivello complessivo di circa 6000 metri. Entrambi i percorsi presentano numerose parti in comune tra cui la mitica ascesa a cima Schattberg (2097 s.l.m.), nota per essere la salita su pista tecnicamente più dura al mondo.

Per eventuali info: http://www.mountain-attack.at/