Nel buio puoi solo immaginarlo il panorama. La luce sul casco ti illumina davanti. Un cerchio bianco. Tu avanzi con gli sci. Solo il suono delle pelli che scorrono sulla neve e il rumore del tuo respiro a farti compagnia. Intorno è tutto scuro, illuminato dalle stelle in una notte bellissima. Fredda (meno due gradi alla partenza e meno sedici gradi all’arrivo) ma calda dentro. Tu sei una di quelle lucette che avanza, passo dopo passo. Trecento luci di Natale a illuminare la montagna. Questa è stata per me la Folgrait Ski Race, alla terza edizione. Una delle più belle gare di sci alpinismo italiane… Di seguito il racconto del mio compagno di cordata Flavio Saltarelli. Buona lettura
Per la terza volta consecutiva mi ritrovo alla Folgrait Ski Race. La splendida gara di scialpinismo notturna su pista che apre la stagione. Assieme al caro Riccardo, siamo concorrenti un po’ particolari: apripista-portavoci di tutti coloro che chiedono (anche attraverso un progetto di legge promosso dalla Fisi, la Federazione Italiana Sci) una modifica alla Legge n. 363 del 2003 per riavvicinare gli skialper ai comprensori attraverso la realizzazione di piste permanenti dedicate allo scialpinismo, appunto; promuovendo la regolamentazione della frequentazione delle aree sciabili anche con le pelli di foca, in opposizione ai semplici divieti oggi vigenti quasi dappertutto, salvo in rari ed “illuminati” comprensori.
Abbiamo lanciato l’hashtag “Speedfit it’s not a crime” ed ora lo presentiamo anche in questo modo, rincorrendo noi stessi ed i nostri sogni per il comprensorio dell’Alpe di Cembra, perfettamente innevato. Ma siamo anche due “tapascioskialper”; due scialpinisti “della domenica” che cercano di ritrovare gli automatismi in vista di nuovi sogni, quali la Mountain Attack, prestigiosa competizione internazionale austriaca alla quale siamo iscritti che si terrà a Salbaach il 12 gennaio.
E siamo pure due luminarie dell’affascinante coreografia che le lampade frontali di oltre trecento sciatori creano sciando in salita ed in discesa. Una coreografia della quale siamo stati per una buona ora la punta di diamante (essendo partiti prima) per poi essere fagocitati dai top fino a diventare pancia del gruppo. Sbuffando. Arrancando. Con le mani ghiacciate a render difficili le manovre dei cambi pelli; con il vapore del nostro respiro ad offuscare ogni passo; primi tra gli ultimi ed ultimi tra i primi; intestardendoci ad usare pelli di foca consunte per allenarci maggiormente in vista dei prossimi impegni. Cercando di trovare quel ritmo che ti consente di essere dinamico per circa tre ore, di ottimizzare l’ottimizzabile. Ce l’abbiamo fatta, anche se ne siamo usciti un po’ ammaccati.
Ne valeva la pena per ritrovare quella catarsi che solo una certa fatica è in grado di dare, quando la salita diventa terapia dell’anima. Al di là di ogni classifica, di ogni pettorale. Consapevoli che quando si è in gara solo con se stessi non si può vincere, ma nemmeno perdere.