Ognuno di noi ha dei conti in sospeso. Mete da conquistare. Percorsi da scoprire. Sogni da realizzare persi da qualche parte, come oggetti nascosti nel fondo di un cassetto. Il mio piccolo conto in sospeso si chiama 100 km del Passatore. La ultramaratona da Firenze a Faenza, provata anni fa e interrotta a Marradi, km 65, quando all’arrivo ne mancavano “solo” 35 di km, perso nel sonno e nella notte scura di un maggio di tanti anni fa. Ebbene quest’anno per i miei 50 anni ho deciso di riprovarci con l’unico obiettivo di arrivare. Arrivare in fondo, al traguardo in piazza a Faenza, dopo 100 km sulle gambe, all’alba, dopo una notte insonne. Come dice un mio amico podista: “Per i tuoi 50 anni ti regalerai una 100”. Fin qui i propositi. Ma – come si dice – tra il dire e il fare passa a volte il mare e, in questo caso, tanta strada. Così è per me. Niente è scontato in questa nuova sfida, l’ennesima. Se non il fatto che voglio chiudere il mio personale conto in sospeso con una gara estrema e affascinante. Riprendo così a raccontarvi le mie personali salite, dopo quelle in bici di Tutte le salite del mondo. Altro obiettivo pazzo dell’anno è il Tòr des geants, il Giro dei giganti delle Alpi. Ma ve ne parlerò più avanti. Ammesso che riesca a iscrivermi e a parteciparvi. Intanto, il mio percorso per il Passatore, che si svolgerà il 30 maggio, è davvero in salita perché la gara è dura (e questo si sa) ma anche perché quest’anno non ho avuto modo di allenarmi come avrei voluto, impegnato in un’altra salita fatta di ospedali, terapie, automobili in coda, file, attese, silenzi e paure. Mesi impegnati a combattere la malattia di una persona a me cara, che ora sembra superata. E quindi ancora di più quest’anno voglio portare a termine questa gara, anche senza un gran allenamento. Per dire a me stesso e a tutti voi che la vita è bellissima e vale la pena di viverla fino in fondo, come vi va.
Ho deciso poco tempo fa di fare il Passatore e ho cominciato ad allenarmi con dei carichi di lavoro forse troppo impegnativi per il mio fisico di “anziano”, culminati una mattina di tre settimane fa: sono uscito di casa che era notte fonda e ho cominciato a correre, correre sul Naviglio Grande e mi sono fermato dopo 43 km. Senza guardare al tempo ma con l’unico obiettivo di macinare chilometri su chilometri. Io e la mia fatica. Io e il mio peso. Io e la mia solitudine. E la corsa leggera. E poi sempre più lenta e pesante alla fine.
Dopo quella piccola folle impresa sono stato costretto a due settimane di stop forzato per un inizio di infiammazione al tendine di Achille e per un fastidiosissimo e intenso dolore intercostale dalle parti del fegato venuto, pensate un po’, dopo una crisi di tosse. Stop completo fino al 3 maggio, giorno del mio compleanno e giorno della seconda edizione della Wings for Life World Run, la straordinaria corsa di beneficenza organizzata in simultanea in 35 città del mondo per aiutare la ricerca di una cura per le lesioni al midollo spinale. In Italia si è corso a Verona. Io ero alla prima esperienza in questa gara, così particolare per la sua formula, divertente e velocissima. Si parte a tutta e si corre, si corre fino a quanto puoi, in contemporanea con altri 35 eventi simili in tutto il mondo, con oltre 100mila podisti. E non c’è un traguardo fisso. Vince chi corre più a lungo, prima di essere raggiunti dalla catcher car, l’auto servizio- scopa, che parte, in tutto il mondo, 30 minuti dopo gli atleti e avanza velocissima, implacabile, per noi poveri podisti uomini normali, a 15 km all’ora. Una volta che ti raggiunge l’auto la tua gara è finita. Si blocca il chip e sei costretto fermarti… Con una organizzazione incredibile e ipertecnologica che ti permette di conoscere dopo poco, dal web, la classifica mondiale con tutti i risultati e anche il tuo personale primato, a che punto sei arrivato e come ti sei classificato. Wins for Life ha un sottotitolo: “corri per chi non può farlo”. Solo in Italia si stima ci siano tra le 70 e le 80mila persone para e tetraplegiche che a causa di un trauma o una malattia hanno lesionato il midollo spinale: quel cavo che dal cervello porta tutti gli impulsi al resto del corpo è tagliato o lesionato. Tutti i fondi raccolti per questa gara mondiale di corsa – si parla di oltre 4 milioni di euro – vanno a finanziare un centinaio di progetti per cercare una cura alle lesioni del midollo spinale: i costi per organizzare la corsa sono interamente coperti da Red Bull. L’edizione italiana è stata vinta da quel fenomeno di Giorgio Calcaterra che ha corso 5 km in più dello scorso anno, fermato dall’auto-scopa a 78 km e un pugno di metri, quarto al mondo. “Ho corso più forte che potevo – ha detto l’atleta romano, campione del mondo in carica di ultramaratona – per quelli che non possono correre, per contribuire a cercare una cura per le lesioni al midollo. Sono felice di aver dato un contributo per questa causa”. Dietro di lui, distanziato di qualche km, Alberico Di Cecco,il maratoneta abruzzese che in questi anni, dopo lo stop per doping, ha ricominciato da zero – la lezione sembra sia servita – con umiltà e si sta dedicando alle ultramaratone. “Ora faccio il carabiniere, non nella squadra sportiva, mi alleno ancora per passione. Faccio fatica”. Polvere e sudore. E la gioia che arriva anche per un piazzamento, ora pulito però che ha tutto un altro sapore.
Il mio personale primato alla Wings for Life è stato intanto il numero, il pettorale. Sono arrivato a Verona e ho scoperto di non essere iscritto come pensavo: io avrei corso lo stesso, anche senza numero. Tuttavia grazie all’efficientissimo staff italiano della Wings for Life sono riuscito a trovare un posticino all’ultimo istante tra i partenti. Il mio pettorale era il numero: 111.072. Centoundicimila, avete capito bene. E’ impressionante pensare che più di 100mila persone in tutto il mondo hanno corso nello stesso momento per uno scopo benefico. Credo che la Wings for Life, arrivata quest’anno alla sua seconda edizione, proprio per la sua inusuale formula, sia la manifestazione podistica con più iscritti in assoluto, più della Maratona di New York che negli anni migliori si ferma a “soli” 35mila partecipanti. IO, come detto partivo da due settimane di stop con in testa il sogno del Passatore e la paura dei dolori dopo i primi chilometri. E invece è andata bene. Sono partito, spinto dalla folla, troppo veloce, almeno per me. I primi due km corsi a 4 – 4,15km al minuto e poi mi sono adattato al mio ritmo solito di 5,15-5,30 al km per scendere infine clamorosamente a 6.30.7 a km: nella corsa la preparazione conta tanto. E come mi ha detto un giorno il grande Calcaterra:
“In due settimane perdi tutta la preparazione, perché il corpo dimentica in fretta gli sforzi prolungati con una velocità impressionante”.
Il mio obiettivo era di correre per un lungo partendo da zero, da uno stop di due settimane. mi ripromettevo di fare 30 km di corsa sperando di finire senza dolori. E così fortunatamente è stato. Ho vinto anche io la mia personale gara. La Catcher car implacabile mi ha preso al cartello del 15esimo km quando la velocità cominciava a scendere già da un po’. E io ho continuato. Mi sono girato e ho cominciato correre verso la partenza, piazza Bra, riattraversando tutto il lungo Adige e le sue placidi dolci acque, con le colline alle spalle e le torri e i tetti del centro storico davanti agli occhi. Alla fine della giornata il mio orologio-computer mi avvisava che avevo raggiunto il mio obiettivo di attività giornaliera del +600% e rotti. Io ero contento di essere stato tra uno dei tremila in Italia e uno dei 111.072 nel mondo, forse, proprio io, con l’ultimo pettorale staccato, a correre per chi non può farlo se non nei sogni. Consiglio a tutti i maratoneti, prima o poi, magari arrivando un po’ più in forma di me, di partecipare a questa bella gara, dell’uomo contro l’auto. Il ghiaccio è rotto. Ora si continua…