Mancano pochi minuti alla partenza. Ore 9 del mattino. C’è una strana euforia tra tutti i 300 iscritti che tra poco lotteranno contro se stessi e contro il tempo per concludere l’half triathlon di Chia Laguna, in Sardegna, tecnicamente un mezzo ironman, o 70.3 se più vi piace. Ossia: 1,9 km a nuoto più 90 km in bicicletta senza scia e 21 km di corsa. E’ il primo mezzo della stagione in Italia. E io sono tra i 300 iscritti. Non c’è tensione e neanche paura. Tutti godiamo di questo paradiso e c’è un’atmosfera di festa.
La zona cambio è un lembo di strada diritta, tra il verde della macchia mediterranea e il blu cobalto del mare che stamane è quasi bianco, color neve per uno strano riflesso del sole radente già forte di primo mattino. Tutti raggruppati sulla spiaggia stretti nelle nostre mute nere sembriamo una strana razza, più simili a pinguini che a uomini. Pinguini con gli occhialini.
Il percorso del nuoto prevede due giri da 900 metri in triangolo segnato da enormi boe gialle che sembrano lontane lontane viste da qui. E’ un attimo, ma il pensiero mi assale prima di partire: ce la farò? Ce la farò ad arrivare in fondo? Il mio percorso per arrivare fino a qui è stato, come al solito, caratterizzato da allenamenti nelle tre discipline, per come ho potuto. Adattandosi alle giornate sempre di corsa, rubando il tempo di qua e di là per trovare, tra lavoro e impegni familiari, qualche lembo di tempo da dedicare alla preparazione.
Nei muscoli delle gambe e nella schiena ho ancora male: i postumi della Parigi-Roubaix Challenge, la gran fondo di 172 km, di cui 51 di pavé, massacrante, che assieme ad altri ho corso giusto 7 giorni fa.
Quello di oggi nella mia mente è un appuntamento importante, un super allenamento, in vista del Challenge Venice, il 5 giugno, uno dei due long distance che quest’anno (l’altro è l’Elbaman) ho deciso di portare a termine a 51 anni. Il mio obiettivo dell’anno. La mia scusa per lasciare da parte le pantofole, rimettermi in forma e scegliere l’adrenalina dello sport di resistenza come fonte di energia per affrontare lo stress della vita quotidiana e uscirne indenni. Così vivo questa mia sfida di oggi, come un super allenamento. Sono sereno anche se, in fondo, la paura di non farcela c’è sempre.
Oggi c’è mare, mare grosso, con delle onde alte che probabilmente renderanno tutto più difficile o divertente, a seconda dei punti di vista. Lo start mi richiama dai miei pensieri a una realtà dinamica. Ci gettiamo in acqua. Io parto bene, subito dopo i primi e comincio a nuotare, ma non riesco ad allungarmi per le onde. A ogni bracciata ne arriva una alta che mi muove in su e in giù e mi sballotta in alto e indietro. Sembra di nuotare in un frullatore acceso che ti spinge al centro con te, piccolo uomo che ti ostini ad andare avanti. Controvento e contro la corrente. Ogni onda è uno schiaffo. E si fa tutti una fatica boia. Nella mia carriera casuale di triathleta ho già concluso 3-4 mezzi Ironman come questo, e un Ironman completo più diverse traversate a nuoto, ma con un mare così non mi è mai capitato di gareggiare. Nuotare contro un nemico che a ogni bracciata ti prende a schiaffi. Mi concentro sul movimento. Cerco di fare bracciate più corte e di aumentare la frequenza del movimento. Nonostante tutto mi sembra di andar bene. Con questo mare è difficile anche tenere la giusta direzione. Prendere la mira giusta per la boa, senza tagliare o allungare inutilmente la linea del nuoto. Qualcuno dalla barca dell’organizzazione mi grida qualcosa: segno che forse sto sbagliando mira, sto andando troppo all’interno. Mi ributto fuori e dopo alcuni attimi interminabili di lotta con le onde riesco a raggiungere finalmente la prima boa da doppiare. Ma che fatica! E sono solo al primo giro.
Quando cerco di uscire dall’acqua – dopo la gara la stessa sensazione mi è stata riferita anche da altri c’è un punto, a poche centinaia di metri dalla riva dove vedi la bandiera, nuoti nuoti e la risacca ti riporta dentro: Esco dal primo giro che non so quando tempo sia passato: nella foga della partenza ho sbagliato a premere il bottone del mio Polar che per questo non è partito. Sta aspettando ancora il mio comando per cominciare a cronometrare i miei sforzi e misurare la distanza fatta con il satellite gps. Non capisco come stia andando, so solo che sto faticando, una fatica boia. E’ un attimo. Giro di corsa attorno alla bandierina rossa piantata sulla battigia e mi ributto di nuovo in acqua per un altro giro.
La frazione di nuoto in realtà, oltre alle difficoltà legate alle onde e alle condizioni del mare, è stata resa ancora più difficile dalla distanza: durante la notte le boe si sono spostate con il gioco delle correnti: a fine gara il gps di molti concorrenti, a seconda della scia, misurava 2,3 o 2,4 km invece di 1,9 km. Un incubo.
Finalmente riesco a terminare il secondo giro, ma mi sento uno straccio. Sono esausto. Ho perso la cognizione del tempo e dello spazio. Pensavo di essere tra gli ultimi e invece mi accorgo di essere uscito in buona posizione, una 15ina di minuti prima del mio amico Antonio Ruzzo e 40 minuti prima di Claudio Chiappucci che oggi debutta nel triathlon. Era terrorizzato dall’acqua il Diablo. La cosa più bella di stamattina, alla partenza, è stata una sua frase, prima dello start: candidamente, l’uomo che nel 1990 arrivò secondo al Tour de France dietro Lemond, ha ammesso vedendo le onde di avere paura. Anche i campioni hanno paura.
Io sono fuori dall’acqua. Lui sta ancora combattendo con i flutti e la risacca. Mi sento morto dalla fatica. Morire in un paradiso naturale, come è Chia. Di solito non è così. Nelle frazioni di nuoto si esce un po’ stanchi ma non sbattuti come oggi, stracci da buttar via. In fretta cerco di prepararmi per la frazione in bici, bevo un gel energetico e poi acqua, metto via la muta, indosso il numero, il casco, gli occhiali e poi parto spingendo la bici. La zona cambio è lunga e stretta. Io sono in fondo, alla fine. Per arrivare al punto di uscita ci sono 3-400 metri da correre con la bici in mano. Una difficoltà ulteriore. Salgo sulla bici e comincio a pedalare. I 90 km di bici erano quelli più temuti dagli atleti prima della partenza per via delle salite e del vento che arriva dal mare. Non è così per me. Dopo i 51 km di pavé di Roubaix non mi fa paura pedalare. Nonostante ci siano circa 1000 metri di dislivello positivo, che per un mezzo non sono poco: salite e discese, salite e discese spezza ritmo e spezza gambe. Vado al mio. Al mio massimo, da diesel, cercando di andare in agilità e di far girare le gambe.
Il percorso in bici è di una bellezza indescrivibile. La strada costiera che da Chia Laguna arriva a Porto Pino passando da Domus de Maria e Teulada, costeggia il mare. Scorci da cartolina. Una natura incredibilmente intatta, a 40 minuti da Cagliari. Uno spettacolo per gli occhi e il cuore che rende più piacevole la nostra fatica. Sto andando bene. A metà, al km 45 si arriva a Porto Pino, si rigira e si ritorna indietro per la seconda parte della frazione in bici. Ho già passato da un po’ la boa della metà gara quando dall’altro lato intravedo Chiappucci arrivare a doppia velocità. Bene, non ha mollato nel nuoto, mi dico. Ha vinto le sue paure. In bici va a doppia velocità rispetto a noi umani. Mi passa dopo una manciata di minuti in salita, quando siamo più o meno al km 60. Beh non sono andato così male, mi dico, se fino a qui sono riuscito a tenergli testa. Finisco bene la parte in bici: ho avuto solo qualche difficoltà in discesa per via delle ruote ad alto profilo e del vento che in curva, più di una volta, mi ha spostato di lato costringendomi a rallentare. Sono riuscito a non cadere tendendomi stretto al manubrio, le mani in basso, e rallentando un po’ l’andatura. E’ andata.
Ora comincia la corsa. Il sole è alto in cielo. Sono passate da poco le 13, fa un caldo boia e non tira un filo di vento. La mezza maratona si svolge davanti al Chia Laguna Resort. Quattro giri da 5km e poi l’arrivo. E nessun albero lungo il percorso. Non riesco a spingere. Non è una questione di fiato ma di muscoli. Dall’inizio mi accorgo che non vado. Corricchio, mi spingo con il cuore e la mente, ma il crono è inesorabile: non riesco a stare sotto i 6 minuti a km. Poco da fare. Cerco di non pensare. E vado avanti, passo dopo passo. Ma ho caldo, il sole scotta. Ogni giro un braccialetto colorato, ogni giro un granello di rosario sgranato. Cerco almeno di correre e di non camminare come fanno molti, scoppiati più di me. Nella corsa ho perso tutto il vantaggio conquistato finora a suon di fatica e sudore. Ma sono arrivato in fondo. Non ho mollato. E sono felice di esserci riuscito. Morto di fatica però in Paradiso.
P.s. nei giorni successivi all’Half triathlon di Chia, primo mezzo della stagione, tornato al grigiore della pianura padana sulla mia pelle scottata dal sole sono cominciate a fuoriuscire delle strane bollicine, sempre di più. Arg! Grazie alla mezza maratona corsa sotto il sole africano di Chia mi ritrovo ad aprile con la pelle nuova, una pellaccia pronta per altre sfide.