“Una Gios è Blu, come una Ferrari è Rossa. E’ un oggetto da intenditori”. Un oggetto dei desideri per me da quando, negli anni Settanta, poco più di un bambino, muovevo i miei primi passi, le prime pedalate, nel ciclismo agonistico. Gare su circuito, categoria giovanissimi: A, B, C e D.
Allora si correva su delle biciclettine di ferro, con una sola corona davanti e tre cambi dietro che erano stabiliti dalla federazione a seconda dell’età. Le maglie in lana, i pedalini con i cinghietti e il caschetto tubolare. Si girava a tutta su queste biciclettine, con una frequenza di pedalate assurda. Alle nostre gare, che finivano spesso in gloria, ci emozionavamo come davanti a una finale Olimpica. Il ciclismo e le bici erano diverse. Io avevo una bicicletta targata F.C.I.
Fci non era uno stato vicino all’Urss, ma – l’ho scoperto dopo – l’acronimo che sta per Federazione ciclistica italiana. Le bici, insomma, che passava la federazione alle società sportive. Era pesantissima, un pezzo di ferro. Ma ne ero fiero perché con lei, negli allenamenti mi avventuravo alla scoperta del mondo sulle strade, poco trafficate, tra le colline dell’entroterra abruzzese, dove vivevo.
A volte mio zio Giancarlo, che era il nostro (mio e di mio fratello Vittorio) allenatore-massaggiatore-autista. Factotum che ci accompagnava alle gare con il suo Mini Minor blu, e la radio con le cassette grandi che trasmetteva “Dieci ragazze per me, ci massaggiava con la canfora, ci motivava e ci incitava (senza grandi risultati, ma faceva lo stesso). A volte mio zio però ci accompagnava ”a vedere le corse dei grandi”. Allievi, juniores, dilettanti. A me, che arrivavo a malapena all’altezza della canna di una bici da corsa con la testa, ce n’era una di bici da corsa che mi piaceva tanto, già da allora. Era una Gios Torino, colore blu cobalto, con tutti componenti Super Record Campagnolo, i cerchi Nisi e i tubolari. Le Gios le avevano in dotazione una squadra di dilettanti di Alba Adriatica. Ricordo ancora oggi l’immagine di uno di questi ragazzi, il loro campione di cui non ricordo il nome. Era biondo, alto, forte. Sembrava una dio quando arrivava primo davanti a tutti a braccia alzate con la sua Gios blu.
Sono passati tanti anni da allora. E questo ricordo della Gios blu è rimasto nascosto da qualche parte dentro di me, come un desiderio recondito. Ho ritrovato le Gios blu un paio di anni fa all’Eroica. Erano le più belle allora, e quelle che le hanno ora le mostrano come dei trofei. Come se stessero guidando una Ferrari degli anni Cinquanta o una di quelle auto d’epoca che quando passano ti giri come se fosse una bella ragazza. Da allora ho ricominciato a sognare di avere una Gios Torino. Quasi mezzo secolo dopo. Continuo a cercarle su eBay e su Subito ma è difficile trovarle in buone condizioni a prezzi ragionevoli. Lo so, direte, ma oggi le bici sono diverse. C’è il carbonio. Ci sono telai che pesano meno di un pacco di sale. La tecnologia è andata avanti. Dite quello che vi pare ma a me la Gios piaceva e continua a piacere. Mi ricorda quegli anni, di ciclismo eroico e artigianale, in tutti i sensi. Mi ricorda la mia infanzia. Mi ricorda De Vlaeminck, il James Hunt delle due ruote, sciupafemmine e campione, che vinceva le Roubaix come se niente fosse. E mi ricorda i miei sogni di bambino quando sfogliavo le riviste di ciclismo di allora, le prime, con le foto a colori delle imprese dei campioni. Quei campioni che si vedevano ancora in bianco e nero alla tv.
Qualche settimana fa sono capitato a Torino, complice la presentazione di Tutte le salite del mondo al simpatico ristorante Ciclocucina. Per l’occasione mi sono ricavato un paio di ore libere e ho deciso, finalmente, di andare a conoscere il signor Gios, e rivedere le sue biciclette blu cobalto.
La Gios nasce nel 1948 quando suo padre Tolmino, già olimpionico nella nazionale italiana di ciclismo ai Giochi del 1936 a Berlino e poi forte professionista prima della guerra mondiale alla corte di Gino Bartali, apre il suo primo negozio di biciclette a Torino. Negli anni Cinquanta Gios realizza bici su misura per professionisti come Italo Zilioli. Ma la fortuna di Gios Torino arriva negli anni Settanta, il periodo nel quale la società viene portata avanti dai due fratelli, Aldo, telaista e meccanico fenomenale, Alfredo che segue la parte commerciale. Aldo Gios crea un chopper a due ruote, sulla scia del film Easy Rider. La Domenica sportiva la presenta in apertura del servizio dedicato al Salone del ciclo di quell’anno. Giorgio Perfetti, patron dell’omonima azienda dolciaria, ne rimane colpito e ne ordina un quantitativo che mette in premio per un concorso molto popolare allora legato al suo prodotto di punta: la gomma del ponte, il chewing gum Brooklyn.
Il passo successivo è già scritto. Perfetti si butta nel ciclismo e sceglie Aldo Gios per fornire le bici al suo squadrone, il Team Brooklyn, che dal 1973 al 1977 con il suo capitano Roger De Vlaeminck, stravince gare su gare: Paris Roubaix, Milano San Remo, Giro delle Fiandre, Tirreno Adriatico, Campionato del mondo di Ciclocross, Giro di Lombardia, Milano Torino. Sono solo alcune delle vittorie di una delle squadre più amate. La Gios Torino con la Brooklyn diventa blu. Dietro ogni vittoria di De Vlaeminck, a seguire i corridori della Brooklyn come un’ombra c’è Aldo Gios che negli anni Settanta, aveva i capelli lunghi con i basettoni, come usava allora. Negli anni seguenti Gios fornisce le sue bici ad altre squadre, a tanti altri campioni del pedale, ma nel cuore e nell’immaginario degli appassionati la sua resterà per sempre la bici della Brooklyn e di De Vlaeminck con la maglia blu come la bici e le strisce gialle e bianche.
Aldo Gios oggi è un signore di più di sessant’anni che ama la pesca d’altura, fuma il sigaro e gira in Porsche ma che ha passato la sua vita a costruire telai in acciaio su misura, tra i migliori al mondo, sicuramente i più belli. Da pochi anni si è diviso dal fratello Alfredo. Lui si è preso il marchio Gios Torino e continua a fare quello che sa fare meglio: le bici in acciaio. Ha aperto uno showroom a due passi dall’uscita autostradale di Volpiano, periferia torinese, e, assieme al figlio Marco, architetto cresciuto a pane e bici, ha ripreso l’azienda di famiglia cercando di valorizzare il suo patrimonio storico. Quel patrimonio per cui oggi un giapponese è arrivato fino a qui, da Tokyo a Volpiano per acquistare una Gios Torino, così come fanno spesso tedeschi e americani appassionati di bici d’antan. Che vengono in Piemonte per visitare le Langhe, mangiare il tartufo con il barolo, e riportarsi a casa una Gios.
La cosa buffa, in un momento storico nel quale l’industria italiana delle bici soffre, con molte aziende, marchi storici che chiudono o passano di mano, o è stata completamente spiazzata dal modello di business imposto dal carbonio, “dalle bici di plastica” che nascono tutte uguali in Asia, Aldo Gios continua a crescere e ad andare bene, scommettendo – appunto – su quello che sa fare meglio: le bici artigianali in acciaio. In catalogo ha anche un telaio in carbonio fasciato (ma prodotto in Italia), un altro bellissimo in titanio, ma il suo core business è ancora oggi l’acciaio: la replica esatta del Super Record Gios del 1977, prodotto su misura, in una scatola che comprende anche la borraccia, la pipa del manubrio pantografata Gios, un barattolino di vernice blu per i ritocchi e la maglia in lana e il cappellino della Gios Torino. Oltre al Super Record, che viene montato di solito con i componenti dell’epoca, Aldo Gios assieme al figlio Marco ha anche creato altri modelli di telaio in acciaio destinati alla componentistica moderna, la Prodigiosa, il Gti. Bici che montate con gruppi moderni arrivano a pesare poche centinaia di grammi in più di una bici in carbonio. Con una sola differenza, non da poco, che sa chi in bici ci va: questi telai se cadi non si distruggono “come quelli di plastica” e soprattutto: in discesa tengono la strada quando freni e non ti buttano fuori. Non so se avete presente la discesa di Nibali all’ultimo Lombardia. Lui, che è un campione e la bici la sa portare come un funambolo, ha fatto un’impresa in una curva dove ha rischiato di finire fuori per la velocità, perché la verità è che i telai in carbonio in discesa non tengono. Ho deciso: andrò a trovare di nuovo il signor Gios per comprarmi una delle sue fuoriserie blu cobalto. E magari farmela firmare.