Il racconto di un’impresa fatta da Omar Oprandi e da Flavio Saltarelli, su e giù per il Monte Rosa di corsa, di passo e con gli sci. Da Alagna alla Capanna Margherita e ritorno. Un’avventura emozionante, anche per chi come noi può riviverla solo leggendo i loro racconti, che qui riporto – è un onore per me – fedelmente. Buona lettura (rb)
Alagna-Capanna Margherita e ritorno, di Omar Oprandi
Qualche mese fa, nel bel mezzo di una stagione invernale fantastica, assicurata dalla presenza di un manto nevoso sempre abbondante anche a quote basse, vengo a sapere che sul Monte Rosa c’è tutta l’intenzione di far rivivere una bellissima gara che verrà chiamata Monte Rosa SkyMarathon.
Già solo dal nome avevo capito che c’era tutta l’intenzione di fare sul serio. Allora mi son messo a fare sul serio anche io, con delle uscite più dure per essere pronto anche a quella gara. Poi scopro che la gara sarà a coppie e ripercorrerà il vecchio tracciato degli inizi anni 90 quando si fecero le prime edizioni delle Skyrace… Cosi venivano chiamate le “gare nel cielo” quelle veramente in alta montagna.
Dovevo solo trovare un compagno… Magari tra quelli “di sempre”, e iscriverci alla gara. Poi, quasi per caso ricevo l’invito di partecipare alla nuova gara da un certo Flavio Saltarelli. Uno che fa l ’avvocato ???? Che c’entra! In seguito lui stesso mi spiega che la nostra partecipazione servirebbe soprattutto per raccontare della gara… E che avremmo avuto “l’onore” di fare da apripista. E persino di poter usare gli sci… Chiedendomi il mio pensiero su questa eventuale scelta, visto che in gara non si potevano usare, proprio per ripetere le gesta fatte dai vecchi concorrenti.
Tiro “le somme”: 1° in pratica mi sta dando del vecchio, visto che avevo fatto proprio la prima edizione (nel secolo scorso – nel lontano 1992). In quella occasione, per me, era importante entrare nei primi dieci per proseguire nel mio cammino di skyrunner (figura nata proprio in quell’anno) che mi avrebbe portato a poter partecipare alla skymaraton più alta d’Europa: da Courmayeur al Mte Bianco.
Cosa che poi ho portato a termine con estrema gioia da parte mia. Allora per me erano “dei sogni nel cassetto” da realizzare, e, senza nemmeno saperlo, partecipandovi, entrare a far parte della storia di queste bellissime gare. Le prime edizioni: Temù / Adamello – Alagna / Mte Rosa – Courmayeur / Mte Bianco. 2° mi chiede se vanno bene gli sci ???? Certooooo. La mia risposta è una naturale conseguenza di come penso si debba spostare una persona in montagna quando c’è neve e la possibilità di farlo.
E quindi accetto ben volentieri, ma non prima di aver “spiato” quanto fosse preparato Flavio a questa salita di tutto rispetto: circa 2000 m di dislivello a piedi e 1300 con gli sci. Ebbene si: le sue ultime gite sono state un ottimo “carico”. Aveva messo nel sacco un bel po’ di metri di dislivello a gita, facendolo a tutte le ore. Notti comprese.
La “coppia” era fatta. Mai visti ne conosciuti prima (al di là di qualche “battuta” sui social) mai usciti assieme, ma con la stessa convinzione: esserci per raccontare le nostre sensazioni, sicuramente diverse fra loro. Da una parte un semplice “amatore” di questi sport e dall’altra io… Un professionista, nel senso che lavoro e vivo di montagna. Anche il Mte Rosa l’ho salito diverse volte. Ogni volta cercando una salita diversa per raggiungere una delle sue cime. E ogni volta percependo una piacevole sensazione che mi attirava a guardare qualcosa di nuovo…Come quella volta in cui ho voluto lasciare un “mio segno” su questa montagna partendo dal Rif Mantova, scendendo alla Punta Indren (vecchia) per salire integralmente la Cresta del Soldato fino alla Punta Vincent e ritornare al Rif Mantova in poco più di 36 minuti.
Per me era una “normale conseguenza” ad una settimana lavorativa che avevo trascorso proprio al rifugio per “salutare” il Gruppo del Mte Rosa… Una bellissima cresta che sembrava fatta apposta per essere percorsa senza interruzione e in velocità. Leggero e senza regole, come la gara che adesso dovevo “aprire” salendo con Flavio…
Per fargli realizzare il suo sogno, il suo progetto, e il suo record, che, per come la vedo io, diventa ancora di più “attraente” soprattutto perché liberi di usare l’attrezzatura che si vuole e il metodo “perfetto”. Scarpette fin dove c’è neve poi sci e pelli di foca fino in cima.
Ci aspettava comunque un’avventura degna d’essere raccontata. Un lungo viaggio che aspettavamo inconsciamente da molto tempo. Viaggio che aveva bisogno di una serie di situazioni concomitanti: un buon stato di forma; una giornata con meteo stabile; un manto nevoso trasformato e portante e tante altre cose.
Tutti fattori che solitamente vanno ricercati per effettuare la salita il più velocemente possibile, ma che, per l’organizzazione di questa gara, dovevano essere legati ad una data fissa: il 23 di giugno 2018. Venticinque anni dopo la mia prima volta ! Ma questa volta con un nuovo amico, uno “con le palle”. Uno che non si tira indietro nel voler affrontare 3300 m di dislivello in un’unica salita. Assieme con l’intento di anticipare (per almeno metà della gara) tutti i concorrenti e poi per vederseli passare davanti uno ad uno, per incitarli, fotografarli e per dagli i consigli sulla tattica di gara da fare.
Ora, a cosa fatta, mi rendo conto che è proprio andato tutto alla perfezione. Su un percorso stupendo, da fare tutto di un fiato in un’unica giornata. Percorrere una Linea Ideale… una delle mie “Linee Ideali” che racchiudono: amicizia, semplicità, eleganza, logica e avventura.
Siamo partiti da Alagna (1200 m s.l.m.) più precisamente sotto gli striscioni della Monte Rosa SkyMarathon alle ore 03.30, in punto per salire alla loc. Alle Piane (1400 m s.l.m.). Fin da subito facendo lunghe chiacchierate come vecchi amici, anche se era la prima volta che andavamo in montagna assieme. La salita è continuata costeggiando il Torrente di Olen fino all’Alpe Zaroltu e poi al Rif Mortara (quasi a 2000 m s.l.m.) e, poco dopo deviando a destra verso il Corno Molera. Ero talmente distratto dalle chiacchierate e dalle varie “proposte indecenti” di Flavio che, seguendolo, avevo perso l senso dell’orientamento e pensavo addirittura di essere già alla Punta Indren. Invece eravamo solo all’intermedia alle ore 05.22 (2400 m s.l.m.).
Il sentiero fin qui era pulito dalla neve che però è iniziata a farsi sentire sotto le nostre scarpe, quasi ininterrottamente fino alla vera e vecchia Punta Indren dove, tre ore e trenta esatte dopo la partenza, venivamo accolti da Marino Giacometti, Manuel Gambarini e i tanti volontari della gara come “veri eroi” ancora in vantaggio sui migliori atleti iscritti alla gara che sarebbero arrivati da li a poco. Ore 07.00 (3200 m s.l.m.).
Abbandoniamo la simpatica compagnia continuando a seguire fedelmente il tracciato della gara fino a raggiungere, poco dopo, gli sci (che ci erano stati portati dagli amici del Soccorso Alpino). Dopo il cambio assetto, passando dalla modalità runner a quella di skialper, calziamo gli sci e alle ore 07.30 (esattamente 4h dopo la partenza) riprendiamo il cammino.
Aver organizzato il trasporto dell’attrezzatura da scialpinismo, ci ha permesso di salire leggeri e veloci fino a questo punto. Inoltre abbiamo provveduto a farci portare assieme agli sci anche le nostre scorte di energetici e liquidi, indispensabili per terminare la salita.
Ripartire in modalità skialper mi ha, ancor di più, proiettato ed “immerso” totalmente in questa avventura. Inoltre il dover accompagnare Flavio, da qui in poi, diventava ancora più “cosa seria”. NON dovevo sbagliare, NON potevo sbagliare.
Con tutto l’impegno di un “boy-sitter” mi sono impegnato a fare il ritmo giusto, concentrato solamente sul nostro rumore degli sci fatto sulla neve indurita dalla notte. Non devo farlo affaticare troppo, devo farlo bere e cercare di fagli dosare le energie per tutto il resto della salita. Cercavo di fagli guadagnare tempo e fatica in tuti i modi, dandoci anche i miei sci (più leggeri)… Ma Flavio, per colpa della sua poca confidenza con materiale così performante, non riusciva a camminare con scioltezza, penalizzato da quelle pelli di foca che, “sembravano senza pelo”.
Allora, poco più avanti “via”… con tutti quattro gli sci a spalla per farlo camminare più leggero, per farlo salire più direttamente… Guadagnando e risparmiando terreno sotto i piedi.
Nemmeno il tempo di “elaborare” questi pensieri, che ci siamo ritrovati, in diretta, nel vedere il passaggio della prima copia, formata dal forte e giovane bergamasco William Boffelli con il suo esperto e altrettanto forte compagno di squadra Franco Collé. Fantastici: riposati e concentrati nel condurre la gara. Sguardo avanti verso l’obbiettivo… La Capanna Margherita a oltre 4500 m.
Lo stesso nostro obbiettivo. Lo stesso di tutte le persone che erano sopra e sotto di noi: chi con gli sci, come noi, chi a piedi, come gli atleti in gara. Un obbiettivo piuttosto lontano. Nel mezzo, il Colle del Lys (4250 m s.l.m.) che abbiamo raggiunto attorno alle ore 10.00.
Dopo una breve pausa, una decisione. Quella di Flavio. “Omar, vai… Fai il tuo ritmo, io vengo da solo facendo il mio passo. Ci vediamo qui !” Un grande regalo! Quello che ci voleva, per me. Per far sfogare i cavalli motore che sono in me. E allora via, verso la cima.
Da qui, dopo un lungo diagonale che ho fatto in pochi minuti (senza pelli sotto gli sci), mi sono diretto verso la vera e propria ultima salita. Verso la Capanna Margherita, dove era posto il giro di boa della gara. Luogo che ho raggiunto alle ore 10.40 (4554 m s.l.m.).
Questo è indubbiamente il punto più conosciuto “e turistico” dell’intero gruppo del Monte Rosa. Infatti lo raggiungono milioni di persone tutto l’anno, facilitate dagli impianti che portano molto in alto… Sia da Alagna che da Gressoney. Una comodità che volutamente non abbiamo utilizzato per “assomigliare” il più possibile agli atleti in gara.
La Capanna Margherita non è di sicuro un luogo isolato. Qui si trovano persino le più “moderne comodità civilizzate” che si possono avere a bassa quota come un bar e un ristorante, persino un letto dove dormire. Un “regalo” piacevolissimo che completa questa salita, che oggi, ancor di più del solito è super frequentato dai tifosi della gara.
La vista da questa cima è un vero e proprio spettacolo. Non c’è l’ombra di una nuvola; il cielo è limpido e la neve è ancora molto dura. Prendo la piccola macchina fotografica che porto con me per immortalare qualche immagine. Un modo per ricordare, ed imprimere nel tempo le immagini, le emozioni e i ricordi di questa stupenda giornata.
Pochi attimi che mi servono anche per salutare gli addetti al ristoro della gara. Mentre lo faccio, vengo assalito da un “collega” e amico Guida Alpina che mi carica obbligatoriamente lo zaino di una grossa confezione di bustine da the da portare urgentemente al Colle del Lys dove erano rimasti senza. Servivano per il ristoro degli atleti.
Buona scusa per abbandonare quel posto caotico e “buttarmi a tutta” nella discesa. Un saluto veloce a Flavio, ritrovato per strada e, più in basso un breve “cambio di assetto” per risalire brevemente al passo. Consegno subito il the agli addetti al ristoro. ore 10.53 (4250 m s.l.m.).
Dopo meno di un’ora vengo raggiunto da Flavio che ha raggiunto la Margherita alle 11.21. La nostra squadra si era ricomposta. Una breve pausa ristoratrice da parte di Flavio poi giù, verso il Rifugio Gnifetti.
Da qui in avanti la nostra giornata si è trasformata in una semplice “gita turistica” con l’occasione di dare qualche consiglio di discesa al mio compagno. Scegliere la giusta direzione per una sciata più piacevole è stato il mio semplice compito per “portare” Flavio nei pressi della funivia Indren. ore 12.55 (3200 m s.l.m.).
La neve ancora dura ha fatto si che la discesa risultasse bellissima. Togliamo le pelli di foca. Forse per l’ultima volta. Una bellissima stagione invernale. La mente si rilassa. Per noi rimane una semplice discesa con gli impianti che ci porterà di nuovo nel centro di Alagna.
Non avevamo progettato “tabelle di marcia” e nemmeno pianificato in minima parte tempi e orari. Siamo qui e basta. Davanti a noi ancora tante idee. Idee appena accennate, che non conosciamo nemmeno. Tante montagne per noi inesplorate che ci danno la voglia di ripartire immediatamente.
Siamo veramente contenti. Malgrado la nostra conquista, anche questa volta, “dell’inutile”. Oggi è stato un giorno perfetto, è andato tutto per il verso giusto… Probabilmente anche qualcuno, la in alto ci ha messo del suo.
Ma i ricordi, seppur “freschissimi”, fuggono veloci, come la neve sotto i nostri sci oggi. A volte, la forza di portare a termine grandi cose, la si trova nelle piccole gioie di tutti i giorni. Tutti due facevamo parte della “stessa storia”, anche se vissuta completamente in modo diverso.. E’ stato strano “essere dentro” la stessa avventura e viverla con uno stato d’animo differente.
Un’altra avventura è terminata. Sia fisicamente che mentalmente. Un’altra avventura che mi ha permesso di conoscermi ancora una volta… E “crescere” sempre più. Condividendo l’avventura con un nuovo amico diventato fratello per una giornata intera… condividendo la stessa emozione.
Emozione talmente forte che, anche se attorno a noi, ora ci sono decine di persone che festeggiano l’arrivo di alcuni concorrenti, ne rimaniamo indifferenti come se fossimo soli.
Il nostro “viaggio” è finito. Ora dobbiamo solamente cambiarci, mangiare e bere qualcosa. Sono le 14.30… undici ore vissute intensamente.
Che dire ancora? Altri discorsi sarebbero superflui. Credo che ognuno di voi abbia potuto immergersi un po’ in questo nostro viaggio ricco di emozioni. Io, mentre l’ho scritto, ho avuto modo di ripensare a quello che abbiamo fatto… io e Flavio. Un modo per assaporarlo di nuovo, non solo come un bel ricordo, ma come un presente. La mente è ancora piena di quelle emozioni… tante per un solo giorno!
Va bene così. Ricorderò questo viaggio come una delle avventure più belle. Grazie anche al mio splendido compagno di gita, che ha gustato, totalmente, questa straordinaria avventura, consapevole di aver reso reale e un altro “sogno del cassetto“.
Una salita che non ha nulla di incredibile… se non il fatto di essere li, ad aspettare il prossimo sognatore. (Omar Oprandi)
The race of the century, ovvero quando la montagna non fa prigionieri, di Flavio Saltarelli
Non c’è bisogno che la sveglia suoni. Sono sveglio da ieri sera, da quando ho salutato Omar, Killian e Fabio Meraldi per andare a letto. O forse sto sognando da ieri sera, da quando prima di coricarmi ho controllato per l’ultima volta lo zaino cercando di limare peso. Ne sono usciti 2 gel energetici, le monete, i fazzolettini di carta ed un sacchettino di plastica.
Sono le 3,25 e siamo davanti alla chiesa di Alagna (1190 sul livello del mare). Tutto dorme, c’è un soffitto trapuntato di stelle. Tutto tace, la quiete prima della tempesta per le 130 selezionatissime coppie di corridori del cielo che alle 6 partiranno verso la cima del Monte Rosa nella gara definita del secolo. Io, in tempesta d’emozioni, ci sono già da almeno 24 ore. Omar vorrebbe attendere 5 minuti per partire alle 3,30 come programmato, ma insisto. Start. Si va: apripista alla Monterosa Skymarathon, un lungo viaggio verso l’aria sottile che ho sognato di tentare fin dal 1993, quando lessi di questa gara ai confini della realtà ed ai confini del cielo. Di questa gara che, risorta dopo 25 anni, è stata unanimamente ritenuta “the race of the century”, la gara del secolo.
Le case walser scorrono davanti ai miei occhi, inizia il sentiero. Omar mi dice di fare il passo. Mi sonda, cerca di capire se riuscirò ad arrivare fino in fondo. Mi sento sotto esame. Il percorso è ottimamente segnato, ma sono bandierine adatte al giorno e non alla notte ed allora nel bosco rischio di andare per la tangente più volte perdendo tempo. Omar passa dunque davanti. Lui fiuta il percorso. Il ritmo cambia. Ci raccontiamo la nostra vita e capisco che dietro al campione, come sempre, c’è un altro campione. E’ l’uomo Omar, quello che non tutti hanno avuto la fortuna di conoscere; un vero e proprio guru della montagna che ha segnato la storia dello skyrunning e dello skialp con oltre 50 vittorie – tra cui un trofeo Mezzalama – collaborando fattivamente a tante innovazioni tecniche del settore. E’ un piacere stare con lui e condividere opinioni, l’unico problema è salire al ritmo che senza volere impone e pure rispondergli, anche se, per deformazione professionale e per natura, alla chiacchiera sono allenato. I quadricipiti pompano e non solo loro.
E’ l’alba. Il sole s’affaccia al palcoscenico del giorno infiammando di colore le radici del cielo. Tutte per noi, che abbiamo l’onore di passare per primi. Siamo due ombre sulla larga cresta che porta a Punta Indren. Siamo due sognatori erranti che forzano il rumore del silenzio. In punta di piedi.
Punta Indren (3200 slm) è la porta che ti fa entrare in una cattedrale di neve e ghiaccio dove la montagna, quella con la “M” maiuscola, ti fa al tempo stesso sentire un dio ed una briciola d’infinito.
E’ da quota 2600 che avanziamo su una neve indurita dalla notte serena, ma le scarpe che abbiamo ai piedi, le Mutant, sono davvero eccezionali su questo fondo. Il grip su neve è incredibile, i ramponcini restano nello zaino.
Siamo alle vecchia stazione della funivia. Marino Giacometti, il padre dello skyrunning – colui che da vero e proprio illuminato visionario capì 30 anni fa che atletica e alpinismo potevano sposarsi – ci accoglie insieme a Manuel Gambarini, il direttore di gara; l’uomo che ha avuto il coraggio dopo 25 anni di letargo di far risorgere la competizione più alta del mondo, la gara definita da Killian Jornet Burgada come una delle più belle e dure in assoluto.
Ora procediamo su ghiacciaio. Fa freddo, meno 7 almeno e tira pura vento. Le mani senza guanti sono ormai insensibili. Io sono in tutina in lycra da skialp senza sotto praticamente nulla, Omar addirittura in pantaloni corti, sempre entrambi senza ramponi ai piedi. Chiedo ad Omar come mi vede. Mi risponde: “Non conta come ti vedo, ma come sei. Non sei veloce, ma vai come ti senti; cerca di bere di più, la quota ti disidrata e poi vai in tilt. Non vestirti ora – aggiunge – tra un po’ raggiungeremo sci e scarponi. Se ci fermiamo adesso in un attimo ci raffreddiamo e poi è finita”.
A quota 3500 troviamo piantati nella neve i nostri sci con le borse (ancorate al ghiaccio con un picchetto rosso) con dentro gli scarponi e la tuta di Omar. Le hanno lasciate lì per noi i colleghi di Omar del Soccorso Alpino della Guardia di Finanza di stanza ad Alagna, i quali hanno supportato questa nostra iniziativa di duathlon alpino. Ci vestiamo cercando di non far scivolare a valle tutto; affrontiamo il ripido canale d’accesso al pianoro glaciale ove vi è il Rifugio Gnifetti (3600 slm). La quota inizia a farsi sentire, come la fatica. Quando siamo sotto la Piramide Vincent vado in riserva d’energie. Spia rossa accesa. Omar si carica i miei sci sulle spalle e mi fa proseguire a piedi per cinque minuti senza; “Così alleggerisci le gambe e poi ti riprendi”. Come il solito ha ragione lui. Ingurgito cubetti di zenzero disidratato ed un gel alla caffeina. Si riaccende la luce, rimetto gli sci e riprendo a salire quando iniziano a raggiungerci le prime cordate di atleti.
Uno spettacolo nello spettacolo è vedere Omar. Sembra un leone in gabbia. Ed io sono la gabbia. Vorrebbe scattare, stargli al passo; superarli. Ma non può. Fa coppia con me, non con Killian. Ma tant’è. Ed arriviamo finalmente al Colle del Lys (4200 slm), dove vi è un cancello orario per gli atleti. Manca solo il lungo e ripido pendio finale. La Margherita ora è nel mirino. Sono circa 450 metri nell’Empireo, tra il Lyskaam, la Parrot e la Zumstein. Ormai sono galvanizzato, i tre quattromila saliti con gli sci in maggio non mi fanno sentire la quota se non in termini di fatica. E così, essendo al settimo cielo, arrivo in cielo. Sulla vetta del Rosa (4554 sul livello del mare), dove troneggia Capanna Margherita. E ci arrivo insieme al caro amico Fabrizio Righetti, lui in gara. Vedo i suoi occhi, sono gli occhi della felicità. Sono gli occhi della montagna che ti entra dentro e non fa prigionieri. Non vedo i miei, ma non penso siano molto diversi. Come non sono diversi quelli di Killian, di Emelie, di Omar e di tutti coloro che, grazie alla Monte Rosa Skymarathon, hanno per un giorno potuto correre direttamente nel cielo. (Flavio Saltarelli)