Lavoro al Sole 24 Ore, il giornale finanziario milanese che è in via Monte Rosa. Ogni giorno vengo inghiottito da questo palazzo di vetro progettato da Renzo Piano. Travet con le scarpe da ginnastica sempre pronte per partire. Sognare. Allargare gli orizzonti e il cuore. Lo scorso fine settimana è stato uno di questi momenti, rigeneranti per me, di totale immersione nella natura più bella e selvaggia. Lontano dalla città e la sua frenesia. Lontano dalle preoccupazione e le ansie. Con 2 amici sci alpinisti – il fortissimo Stefano Forcella e lo skialper avvocato più famoso d’Italia Flavio Saltarelli (anche lui da lunedì al venerdì con la cravatta, sempre troppo stretta, ma sempre pronto a partire per alzare gli occhi all’orizzonte alpino alla minima occasione) – abbiamo fatto una traversata del Monte Rosa, il vero Monte Rosa, attraversando tre valli con gli sci con le pelli, senza l’uso di impianti. Il nostro giro lo abbiamo soprannominato TransRosa Speed Tour. Non era una semplice escursione scialpinistica, per quanto impegnativa. Ma voleva essere un’iniziativa per richiamare l’attenzione del settore sulla problematica della realizzazione di tracciati permanenti per lo scialpinismo all’interno dei comprensori, vicino e sulle piste: c’è un progetto di legge in proposito. E si spera possa diventare una legge. Per far sì che chi – e sono sempre di più – decide di passare da modalità sciatore in discesa a skialper, che fatica quindi, possa farlo accanto e vicino alle piste, senza essere considerato alla stregua di un fuorilegge. Così è ora in Italia. Ci sono aree dove si è più sensibili, altre dove c’è tolleranza zero.
Il nostro TransRosa Speed Tour in due giorni prevedeva un dislivello tra positivo e negativo di oltre diecimila metri e circa 75 chilometri sugli sci. Percorsi senza gli impianti. Con i muscoli e con il cuore. Da ChampoLuc, in Val d’Ayas, fino a Gressoney La trinité, passando per il Colle Bettaforca, nella Valle del Lys, fino al Passo dei Salati per poi discendere ad Alagna, in Valsesia. Il giorno dopo siamo tornati indietro affrontando lo stesso percorso a ritroso. Sono stati due giorni intensi. Pieni di emozioni. Il primo giorno siamo saliti che nevicava, le piste quasi vuote di sciatori. In un ambiente davvero selvaggio pur essendo in un comprensorio di solito molto frequentato. La neve ha continuato a cadere copiosa tutta la notte. Tanto che il giorno dopo, dopo la prima salita da Alagna a Pianalunga, il direttore tecnico del MonterosaSky ci ha fermato per tre ore perché in alto l’elicottero stava bonificando e il rischio valanghe era a 4 su 5. Niente. Siamo ripartiti dopo lo stop, scortati da una guida alpina con l’Arva e tutto il resto per il primo tratto di discesa su pista dai Salati verso Staffal per evitare sorprese che per fortuna non sono arrivate. Il resto della giornata sono stati tanti passi in salita, stanchi ma felici, sotto un sole tornato acceso, fino al tramonto, fino al Passo Bettaforca. Con l’eco dei colpi sparati dall’elicottero che continuava a puntare sui massi nevosi per rendere sicure, per l’indomani, le piste da sci. Accecati dalla bellezza di queste bellissime montagne. Nella solitudine degli skialper dopo la chiusura degli impianti. Da via Monte Rosa al Monte Rosa. E’ stato davvero un bel viaggio.